Evoluzione ed egocentrismo umano: tre buone ragioni per non sentirci padroni indiscussi del mondo

8/02/19
A cura di Matilde Manganelli e Sofia Bellavita, 4B

Cosa c’entrano Trump e Kim Jong Un con l’evoluzione? Entrambi incarnano benissimo lo stereotipo dell’uomo egoista e superbo che si sente padrone e centro del mondo. Purtroppo non sono gli unici; è chiaro che nel profondo di ognuno di noi c’è un piccolo “superuomo d’Annunziano” dormiente che, a seconda delle circostanze, è pronto ad uscire.
Da questa consapevolezza si è sviluppata la nostra ricerca che ha come obiettivo quello di trovare una giustificazione antropologica al nostro egocentrismo.
Grazie alla lettura dei saggi sull’evoluzione darwiniana: “La scimmia nuda”, “Il gene egoista”, “L’orologiaio cieco” e “Il cammino dell’uomo”, abbiamo individuato tre validi motivi, o meglio, spunti di riflessione per cui dovremmo smontare il nostro “super-ego”.

1- L’uomo è frutto di una coincidenza.
Innanzitutto, l’uomo deve essere a conoscenza che la sua esistenza non è stata voluta, ma è semplice frutto della casualità. Un essere vivente complicato è conseguenza di trasformazioni graduali e cumulative derivanti da elementi semplici che hanno avuto origine senza essere pianificate da nessuna mente. Secondo alcuni chimici queste particelle non sono altro che dei cristalli inorganici con la proprietà di auto replicazione; insomma siamo tutti un po’ parenti alla lontana dei silicati e questa nostra trasformazione di certo non è avvenuta per un miracolo provvidenziale ma per una coincidenza, una probabilità moltiplicata, una serie di calcoli matematici che vanno ben oltre quello che consideriamo plausibile.

2- L’uomo ha bisogno degli altri.

Alla base di ogni società vi è la famiglia e così sarà per ancora molto tempo, se non per sempre. Il compito di allevare e addestrare i piccoli che crescono lentamente richiede una salda unità familiare in ogni specie. Ma il peso delle cure verso i figli nell’uomo è molto più grave che in qualunque altra specie. Infatti, i genitori di altre specie svolgono talora i loro doveri parentali con la stessa intensità, ma mai per un periodo tanto prolungato come quello umano. Dunque, è estremamente importante che vi sia una equa divisione e distribuzione dei ruoli.
L’uomo nasce come essere nudo e indifeso e per forza di cose ha bisogno di un continuo sostegno, eppure c’è un solo momento nella sua vita in cui questi si sente davvero al sicuro. Ciò che diceva Virgilio nella IV Bucolica” Incipe, parve puer, risu cognoscere matrem” non si allontana troppo dalla spiegazione scientifica di Morris, autore della “Scimmia nuda”: l’uomo si sente imperturbabile nel momento in cui riconosce la propria madre. Il bambino che riconosce i propri genitori è un bambino ridente; infatti nei neonati il sorriso, che non appare se non intorno al terzo o quarto mese, coincide con la capacità di riconoscere i propri genitori.
Il sorriso è anche uno strumento che utilizza il neonato per attirare l’attenzione materna, e per fare in modo che questa non si separi da lui. E’ dunque una specie di segnale che compensa la madre e le fa desiderare di restare con lui.
Infine, l’uomo non ha solo bisogno di una famiglia ma anche di nemici. Nel mondo delle nazioni, quando due nemici migliorano progressivamente i loro arsenali, l’uno in risposta ai miglioramenti dell’altra parte, si parla di corsa agli armamenti. E tale situazione si verifica, in modo simile, anche nelle specie e all’interno di esse. Dunque, la competizione conferisce all’evoluzione un carattere progressivo e migliorativo.

3- Unicità vs esclusività

A causa della nostra netta sensazione di diversità dagli altri ominidi sulla terra, preferiamo sottolineare le differenze e non le somiglianze che percepiamo fra noi e i nostri parenti più stretti. In realtà Il codice genetico è universale. E questa, secondo la tassonomia, è una prova quasi conclusiva del fatto che tutti gli organismi sono discesi da un singolo progenitore comune. Le antropomorfe, considerate in epoca vittoriana come una ridicola caricatura dell’uomo, sono, tuttavia, le nostre parenti più strette, tanto che il nostro patrimonio genetico è identico a quello dello scimpanzé per più del 98%.
Quali sono gli attributi che rendono l’uomo unico e diverso da esse? Il cervello dell’uomo anatomicamente moderno è un prodotto delle molteplici fasi dell’evoluzione. Se è innegabile il fatto che fra i primati noi possediamo la più sviluppata corteccia celebrale, è altrettanto innegabile però che fra tutti i primati superiori c’è stato un fortissimo aumento della parte del cervello occupata dalla corteccia celebrale. Tra noi i conflitti interni e comportamenti compulsivi sono spesso la norma e non l’eccezione. La nostra mente razionale non è sempre allerta, infatti anche nei momenti di maggiore obiettività commettiamo spesso errori, e spesso e volentieri prevalgono ancora quei comportamenti istintivi piuttosto che quelli strettamente razionali.
Altra nostra differenziale caratteristica è quella di percepire il nostro ambiente in modo diverso rispetto a come invece lo concepiscono le antropomorfe e la “sensibilità” è strettamente correlata all’espressione d’intelligenza umana. Questa nostra percezione diversa da tutti gli altri esseri deriva dalla coscienza. La nostra coscienza è il filtro attraverso cui vediamo e interpretiamo l’ambiente attorno a noi. Descrivere a parole la coscienza comporta parecchi problemi, per Cartesio, uno dei fondatori del pensiero filosofico moderno, sarebbe il dubbio (cogito ergo sum) ad essere la prova essenziale del nostro essere coscienti.
Dunque, siamo arrivate a dire che è vero che l’uomo è un essere unico, ma lo è in mezzo a tante altre realtà uniche, con i propri attributi specifici.

Dunque, prendendo atto di queste informazioni dedotte dalla teoria evolutiva, oggi più che mai con il ritorno sempre più condiviso e divampante al pensiero nazionalista: è cruciale prendere consapevolezza dei nostri limiti “antropologici” e della nostra vera natura di uomini, che è indubbiamente straordinaria ma non per i futili motivi a cui Trump o Kim potrebbero in un primo momento pensare.

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